Economia della passione
Il progetto “Economia della passione” trova la sua linfa in un concetto laterale, non la passione (motivo scatenante) ma tutto un indotto che ruota intorno alla stessa.
Ovunque vi è passione, non si rispettano più le regole tradizionali, nuove gerarchie smantellano il comune senso della normalità. Questo è il lato che più mi interessa della passione ovvero la sua potenza, la sua capacità di spiazzare la realtà.
Per ciò che riguarda Napoli la passione fa indubbiamente parte del quotidiano, il filo labile che separa passione e follia qui è invisibile per questo diventa impossibile a volte comprendere come scaturiscano certe situazioni che si trovano al limite del grottesco.
In secondo luogo la passione ha la capacità di compiere un’inversione anche nelle regole economiche, per cui muove una quantità di denaro altissima senza corrispondere un valore effettivo come merce di scambio riscoprendo il lato cinico e speculatore tipico dell’essere umano capace di creare una vera e propria “Economia del sentimento” .
E’ in questo luogo anarchico che si muove il mio progetto che prevede un lavoro specifico sul matrimonio, (diretta conseguenza dell’amore) ovvero la passione che colpisce la maggioranza delle persone e in cui nessuno si può sentire esente o porre in posizione di giudice ma unicamente di osservatore.
Questo lavoro si pone due diverse finalità: la prima è quella di lasciarsi trasportare anche solo per pochi secondi nel mondo fatato della passione e ripescando nella memoria, o lavorando di fantasia, trovare quel senso di ebbrezza che solo la passione ci regala.
La seconda è quella di osservare in maniera distaccata, senza essere coinvolti in prima persona.
Osservare come esistano vere e proprie strutture costruite e gestite unicamente per matrimoni che svolgono fino a 600 cerimonie l’anno con 6/7 sale disponibili, giardini, fontane, statue.
Osservare come anche le istituzioni, la chiesa e il comune si concedano alla “spettacolarizzazione” dell’evento, vestiti che paiono usciti da libri di fiabe, auto o carrozze che anche solo per un giorno non devono porre limiti all’immaginazione e poi i cibi più strani in quantità esagerate, bevande variopinte e gruppi musicali e ancora foto, filmati e album di pelle cuciti a mano per non dimenticare la giostra del giorno più folle della nostra vita.
Il progetto “Economia della passione” inizia con il contatto personale con un fotografo specializzato in cerimonie che quindi è parte integrante di quella che io definisco “economia del sentimento”, ovvero una professionalità interamente impiegata al fine di ottenere immagini che evochino in modo chiaro la realtà della vicenda emotiva.
Dopo aver consultato il suo archivio ho scelto una cerimonia che a mio avviso si pone nella media, nè troppo irreale (che avrebbe spostato inevitabilmente l’attenzione verso il lato comico del lavoro )nè troppo sobria (che avrebbe reso fredda l’istallazione). Dopo questa prima scelta, all’interno della moltitudine di scatti, ne ho individuati 7 che funzionassero come sequenze di una narrazione, punti salienti della mia analisi.
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Nella prima foto viene raffigurato il nucleo familiare che va a scindersi per dare vita ad una nuova famiglia. Lo sfondo è completamente escluso come a voler convogliare tutta l’attenzione sui personaggi, ritratti non nelle loro abituali fattezze ma artefatti dal lavoro di sarti, parrucchieri, estetisti e dall’uso sapiente della macchina da presa . L’unica cosa che ho aggiunto sono le bande nere sullo sguardo delle persone non per tutelare la loro privacy ma per lasciare libero sfogo all’insinuarsi dei sentimenti di chi guarda senza farsi fuorviare o rapire dall’intimità dei protagonisti.
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La seconda immagine è dedicata alla sacralità dell’evento, l’architettura della chiesa che incombe con il suo peso storico millenario, quasi a sottolineare l’importanza del sacramento che sta per essere celebrato. Anche in questa foto sono evidenti gli interventi scenografici con arredi specifici (sgabelli dorati), decorazioni floreali, panni bianchi e veli.
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La terza fotografia blocca il fatidico momento dell’accettazione del giuramento di fedeltà che diventa non riflessione intima e sofferta ma acclamazione spettacolare ad uso di tutti i partecipanti con l’utilizzo di un microfono per l’amplificazione di eventuali debolezze o eccessi di emotività. Questa situazione stride con la sacralità del luogo e ridicolizza anche la figura sacerdotale che diventa conduttore.
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Nel quarto scatto la coppia diventa sfondo di una struttura che pare uscita da un libro di fiabe, incroci di stili architettonici improbabili che devono toccare tutti i luoghi comuni del lusso, dell’agiatezza; merletti, torri e balaustre, giardinieri, imbianchini, muratori che prestano le loro maestranze per arricchire fino all’inverosimile uno scenario irreale.
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Nella quinta immagine la coppia si presta per ricordare gazebo, giardini e fontane del luogo scelto, per percorrere la parte più ludica della cerimonia, quasi a testimonianza indelebile per i posteri della loro magnanimità.
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Nella sesta fotografia gli sposi si scambiano un bacio (simbolo di un legame intimo totale) che viene ridicolizzato per dovere documentativo. Così lui con le mani intasca, lei in un abbraccio rigido, comandati ad arte dal fotografo il cui unico scopo é costruire un’immagine che non deve scavare nell’emozione ma essere impeccabile in equilibrio e luce. Sullo sfondo permane l’imponenza dell’economia che le cerimonie riescono a muovere.
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Nell’ultima foto un brindisi a loro stessi, a un futuro brillante con un cocktail variopinto e sullo sfondo una mercedes lucida simbolo immediato di ricchezza e successo, auto presa a noleggio? Poco importa, parte integrante di una fiaba dai risvolti grotteschi in cui il lieto fine non è mai per nulla scontato.
Queste sette immagini sono stampate in 50x50 cm, formato medio delle stampe da cerimonia, utilizzando la stessa carta e gli stessi effetti di sviluppo fotografico, incorniciate dallo stesso artigiano che normalmente incornicia le foto dei matrimoni: in questo modo cerco di non violentare l’entità stessa di quell’immagine ma di lasciarla immersa nella sua dimensione, in modo da non infrangere per nulla il suo potere in quanto “documento”.